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Francesco

Schiavulli

DIMORE, 2011-2018

Installazione ambientale, performance
Environmental installation, performance

L’opera Dimore definisce l’unità minima di esistenza e lo spazio di movimento di uomini privati della propria libertà. Il riferimento è alle figure sociali più emarginate, specie a coloro che, a causa di faticose migrazioni, cercano di ridefinire la propria identità a partire dalla ricerca di un luogo di vita e di una forma di sostentamento. Il costante cambiamento di posizione, dal verticale all’orizzontale, esprime una qualità plastica del corpo ma, allo stesso tempo, la ricerca obbligata di un equilibrio, di una condizione e posizione nel mondo.

Le Dimore incorporano il sogno di una casa, di un letto, di una minima socialità familiare; tuttavia esse sono ridotte a scheletri metallici, gabbie, prigioni. Ci si aiuta l’un l’altro ad accedervi, ci si alterna nei movimenti, è quasi un operare privo di sviluppo, una storia senza un senso né una fine.

Come nella celebre serie delle Macchine, Schiavulli torna a sollecitare e agire sul corpo umano, sottoposto allo sfruttamento fisico attraverso gli esercizi performativi. L’utilizzo del corpo appare cinico, ripetitivo, privo di emozioni: ancora una volta una profonda implicazione della storia recente di questa terra e dei suoi drammi. La vicinanza al mare dell’installazione ambientale definisce infine una relazione immediata dell’opera con i “porti”, tema della presente edizione di PhEST 2018.

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La ricerca artistica di Francesco Schiavulli nasce dal teatro ed è dedicata prevalentemente allo studio del corpo. Dall’esordio, una ritrattistica asciutta che mostra una sofferta partecipazione al tema sociale, giunge a una pittura dal cromatismo acceso, negata poi nei “quadri neri”. Si spinge poi allo studio anatomico dei dettagli e, con progetti multimediali, indaga l’identità umana e le emozioni, cercando di porre altri ritmi e percezioni, come nelle “macchine interattive” in legno ed esposte in performance partecipate.

The artwork “Dimore” [Dwellings] establishes the essential unity of existence and the movement space of men deprived of freedom. It concerns the most marginalized society, especially those who – because of exhausting migrations – try to redefine their own identity, searching for a place to live and a form of sustenance. The constant change of position, from the vertical to the horizontal one, expresses a plastic quality of the body but, at the same time, the mandatory search for a balance, a condition and a position in the world. The dwellings embody the dream of a house, a bed, a minimal familiar environment; however these are reduced to metal skeletons, cages, jails. One helps one another to access it, they alternate in movements, it is almost an operation without development, a story without a meaning or an end.

As in the renowned series of the "Macchine” [Machines], Schiavulli keeps on acting through the human body, subjected to physical exploitation in the performative exercises. The abuse of the body becomes cynical, repetitive, emotionless: once again a deep implication of the recent history of this land and its plagues. The closeness to the sea of the environmental installation involves an immediate relationship between the artwork and the seaports, the topic of PhEST 2018.

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Francesco Schiavulli's artistic research originates from theatre and is mainly dedicated to the analysis of the human body. At the beginning, he focuses on portraiture manifesting  a pained involvement in social issues, then comes to paintings with bright chromatism, later denied in the "black paintings". He then approaches the anatomical study of details and, with multimedia projects, investigates human identity and emotions, trying to incite other rhythms and perceptions, as in the “interactive machines” made of wood and played in participated performances.

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